Non credo di aver scelto io questo stile, semplicemente ci siamo piaciuti al primo sguardo, anche se capirci fino in fondo non è stato facile.
Pur avendo rimesso la certificazione Kinbaku LuXuria nel 2021, quei valori e quei concetti che hanno costruito, modellato e plasmato il mio modo di vivere il kinbaku rimangono e rimarranno sempre il faro di quello che faccio.
E’ uno stile essenziale, a volte quasi minimale, in cui non c’è spazio per virtuosismi di nodi fini a sé stessi: “non si fanno decorazioni perché la bellezza è la sua”.
Alla base di tutto c’è sempre e solo Lei
Ogni corda, ogni nodo, ogni frizione ed ogni passaggio sono fatti pensando esclusivamente a Lei, per renderla ancora più bella, per darle sensazioni più intense e farla sentire al centro del mondo che insieme stiamo creando.
Chi si fa legare in questo stile cerca un senso di protezione e di abbandono: mostra nuda la sua anima, è qualcosa che va ben al di là del corpo. Non dobbiamo essere dei semplici legatori ma dobbiamo essere “creatori di un’esperienza”: solo così una sessione di bondage può diventare qualcosa di profondo, di intimo, a volte anche sconvolgente.
Ogni volta che leghiamo una persona Le stiamo raccontando una storia, diversa ogni volta in base al nostro stato d’animo.
Non si fanno giunzioni alle corde, ognuna ha un nodo di inizio e un nodo alla fine, proprio come una frase, e tutte insieme formano un racconto di immagini, sensazioni, suoni e odori che viviamo con Lei.
E come una storia va raccontata con calma, in modo da dare il tempo a chi ascolta di capirla e farla propria, allo stesso modo quando leghiamo non dobbiamo avere l’ossessione di fare in fretta: faremo solo confusione. Dobbiamo anzi fare in modo che quello che stiamo dicendo (con le corde) sia ben compreso, per questo motivo tra una corda e l’altra Le diamo il tempo di ascoltare e di ascoltarsi, di sentire cosa le sta trasmettendo la corda che abbiamo appena messo, come questa interagisce con quelle messe in precedenza, di abituarsi alle reazioni del proprio corpo. E solo quando sarà pronta a proseguire, metteremo la corda successiva.
Altro aspetto fondamentale è che si tratta di semenawa, la corda usata come strumento di tortura, di sofferenza e di tutto ciò ne apprezziamo la bellezza: “la bellezza della sofferenza”.
Detta così potrebbe essere interpretata come un’affermazione sadica e spietata, invece è esattamente l’opposto: la sofferenza non è intesa qui come dolore, ma come tormento, tormento nel fisico perché certamente le sensazioni che la corda trasmette possono essere molto forti a volte quasi dolorose, tormento nell’animo di chi si trova ad un bivio: lottare e cercare di vincere contro la corda (impossibile), oppure decidere di abbandonarsi e soccombere.
Proprio da questa ultima scelta deriva la bellezza del semenawa: una persona che decide di abbandonarsi totalmente alla corda si trasforma: il suo viso, il suo corpo, i suoi lineamenti assumono forme e sinuosità impareggiabili. Espressioni, forme e bellezza che durano lo spazio di una legatura, proprio a sottolineare il carattere effimero della nostra stessa esistenza.
E’ uno stile di profondo rispetto per la persona che ci si offre: togliere la libertà a qualcuno, metterlo completamente nelle nostre mani, è un atto forte e potente e dobbiamo essere in grado di dargli la giusta importanza.
Quello che ad un occhio disattento potrebbe sembrare solo bondage crudo, a volte persino violento, è invece un atto d’amore incondizionato l’uno per l’altro.
“Il tormento della corda è per le anime che hanno dentro quella tristezza, quel tumulto interiore, quel bisogno di abbandonarsi al di là di chi lega e di chi è legato. Non parliamo di sadismo e di masochismo, ma di un pellegrinaggio, di scalare insieme una montagna, del viaggio e non della destinazione.” – Riccardo Wildties
Per me il Kinbaku è un viaggio, un viaggio dentro la persona che lego e dentro di me, un viaggio dentro quella zona grigia che è in ognuno di noi.
Quella parte dove conserviamo i nostri fantasmi, le nostre paure più profonde, quelle che molte volte non abbiamo il coraggio di confessare a volte neanche a noi stessi.
E’ arrivare a quel fantasmi, prenderti per mano e dirti: “ehi, sono qui con te, va tutto bene, non sei sola, li affrontiamo insieme quei fantasmi”.
E per farlo occorre conoscere l’altra persona, occorre tempo, occorre pazienza, e occorre quella fiducia che ci fa dire: “so che mi graffierai dentro l’anima, so che potrà essere devastante per la mia mente, ma io ho fiducia nel fatto che tu lo stai facendo per farmi stare meglio, e soprattutto ho fiducia nel fatto che dopo ti prenderai cura di me“.
Questo è per me il kinbaku, questo è quello che da un senso a quello che faccio.